Le parole intraducibili
Quando la lingua è sinonimo di cultura: le parole intraducibili
Il processo di traduzione (dal lat. traducere, trans «oltre» e ducĕre «portare», «trasportare») è fondato sull’idea che sia possibile veicolare un significato in modo efficace da una lingua a un’altra. Ci sono diversi modi per farlo: con una traduzione letterale si aderisce fedelmente ai significati ma anche alla struttura del testo di partenza, cercando di distaccarsene il meno possibile anche a livello formale. In una traduzione libera, invece, si sceglie di reinterpretare il testo allontanandosi dalla struttura dell’originale, proprio perché l’obiettivo è rendere la traduzione più vicina e quindi più fruibile ed efficace nella cultura di arrivo.
Senso o forma?
In ambito professionale, si predilige sempre il veicolamento del senso del testo di partenza piuttosto che della sua forma, perché non è necessario avvicinare rigidamente la traduzione a livello strutturale ma è invece fondamentale trasporre i significati più profondi del testo. Si cerca quindi un punto d’incontro tra i due sistemi linguistici, in modo tale da non rendere il testo troppo distante (e quindi estraniante) né dalla cultura di partenza né da quella di arrivo.

L’unicità delle lingue, tesori linguistici
Perché ciò accada, è necessario che esista una corrispondenza di fondo, anche minima, che accomuni sistemi linguistici diversi. Nella maggior parte dei casi, la traduzione è possibile proprio per questo e, se non esiste un corrispettivo diretto di una parola, una perifrasi o un giro di parole permettono di trovare una soluzione adeguata. Ma ogni lingua è, dopotutto, una realtà a sé e presuppone una visione unica della vita e del mondo. Alcune lingue celano dei veri e propri tesori linguistici, parole incredibili che evocano sentimenti, immagini, situazioni strettamente legate alle abitudini e alla cultura dei popoli che le parlano e a cui non tutti hanno saputo dare un nome.

Parole uniche e intraducibili
Ecco qualche curioso esempio:
KOMOREBI [木漏れ日] (giapponese): la luce che filtra tra le foglie degli alberi
VOORPRET (neerlandese): la capacità di essere felice per l’anticipazione di qualcosa che avverrà
SOBREMESA (spagnolo): rimanere seduti a tavola a chiacchierare dopo i pasti
YUYIN [余音] (cinese): l’eco che rimane nelle orecchie dopo che il suono è svanito
IKTSUARPOK (inuit): quando si aspetta qualcuno e non si riesce a smettere di controllare se sta arrivando
SAMAR (arabo): sedersi insieme per raccontare storie all’ora del tramonto
RETROUVAILLES (francese): la gioia di ritrovare una persona amata dopo una lunga separazione
FIRGUN (ebraico): la gioia disinteressata per qualcosa di bello che è accaduto a qualcun altro
FORELSKET (danese e norvegese): l’euforia dell’innamoramento
CAFUNÉ (portoghese): passare le dita tra i capelli della persona amata
MAMIHLAPINATOPEI (yaghan): gli sguardi intensi che si scambiano due persone troppo timide per fare la prima mossa
ODNOLIUB [однолюб] (russo): una persona che ha solo un amore nella propria vita
MERIGGIARE (italiano): riposare all’aperto nelle ore pomeridiane.

Crogiolandosi nella dolcezza di queste immagini, è facile capire perché non è sempre facile trasporre i significati da una lingua a un’altra. Per essere in grado di tradurre (nel senso proprio di trasportare) i concetti in maniera efficace, è necessario avere una consapevolezza profonda delle differenze linguistiche e culturali, rispettare la lingua (e la cultura) che ci si trova davanti e accettare il fatto che, purtroppo, si perderà sempre qualche sfumatura in questo splendido processo. Ma basta un pizzico di sensibilità per riuscire a dire quasi la stessa cosa.
Ogni lingua è, innanzitutto una poesia. Noi in Akab lo sappiamo bene.
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